L’Italia vuole le tasse di Apple e Google, e la Sicilia?

E’ sui giornali di oggi che l’Italia vuole chiudere con una transazione di poco meno di 300 milioni un accertamento nei confronti di Google per circa 800 milioni di IRES evasa attraverso la finzione della sede legale fissata in Irlanda. La “teoria” della Repubblica Italiana, tutt’altro che campata in aria, è che non ha importanza dove si fissa la sede legale di una società, ma dove si produce il presupposto d’imposta, cioè il reddito

Se Google produce reddito in Italia, è in Italia che questo deve essere tassato. Poco tempo fa un’analoga vertenza, da circa un miliardo di euro, ha colpito la Apple. L’Italia fa la voce grossa con le multinazionali. Alla buon’ora, sarà la disperazione. Ma c’è un conto che non torna per noi Siciliani, come sempre. La Sicilia si fa carico di tutte le spese pubbliche (tranne pochissime, legate a difesa e rappresentanza estera). Il “contrappasso” di questo carico è che debba beneficiare di tutte le imposte (tranne pochissime, distintamente indicate in Statuto) il cui presupposto matura in Sicilia. Proprio come se fosse indipendente, proprio come uno stato sovrano. Questo lo spirito del patto confederale teoricamente ancora vigente nello Statuto, ormai stracciato dall’Italia. Crocetta sta modificando lo Statuto, nel silenzio assoluto dei media, per togliere proprio quell’art. 37 che, seppure con una terminologia obsoleta, e che si presta ad interpretazioni riduttive, afferma proprio questo principio, oltre affermare che la Sicilia dispone (disporrebbe) di uffici finanziari propri. Per uscire dalla terminologia giuridica, che può sembrare astrusa…

Posto che un ventesimo circa del PIL italiano è PIL siciliano, un ventesimo circa di quegli accertamenti fatti alle multinazionali straniere sono “soldi dei Siciliani”. Se i due colossi hanno evaso all’Italia circa 2 miliardi di euro, questo significa che, in proporzione, circa 100 milioni di quelli sono soldi dei Siciliani; soldi che i Siciliani non vedranno mai, certamente, dallo Stato italiano, sotto qualunque forma. E ci siamo limitati a due multinazionali… E non abbiamo considerato che la stessa cosa succede con le aziende nazionali, questa volta, che producono redditi in Sicilia, anche senza avere sedi e stabilimenti in Sicilia.

Esempi: le assicurazioni on line, le crociere e i viaggi prenotati on line, e così via. Nell’era dell’informatica ormai vige il principio di diritto tributario internazionale che la transazione si presuppone come avvenuta nel domicilio del cliente. Quanta IVA, IRPEF e IRES vengono sottratte alla Sicilia, non rispettando solo per noi questo principio, ogni anno? Si tratta di una cifra per la quale non ci sono stime possibili, ma che va nell’ordine dei miliardi di euro l’anno. Quanto basterebbe per dimezzare di colpo IRPEF e IVA su tutti i Siciliani, facendo schizzare in alto potere d’acquisto dei nostri redditi, e con esso la domanda interna, e con esso l’occupazione e i profitti. Ciò accadrebbe non solo nel caso di piena attuazione dello Statuto (che lo Stato non concederà mai) ma, meglio ancora, semplicemente con uno stato indipendente. Ciò che oggi l’Italia impone a Google, potrebbe benissimo farlo la Sicilia. Basta volerlo veramente.

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