L’insularità e la Sicilia: un’occasione per un grande progetto?

                                                                                    

Noi non crediamo in questa “Europa delle banche” e non ne facciamo mistero. Non crediamo che un’Europa che, dopo aver inserito i diritti speciali per le regioni insulari nel lontano Trattato di Amsterdam (1997), si accorge solo oggi che la Sicilia è un’isola. La portata pratica del riconoscimento di oggi è poi praticamente nulla. E’ solo una petizione di principio, un riconoscimento, che arriva dovuto ma tardivo.

 

E tuttavia non ci nascondiamo che se ci sono diritti che possono aiutare la Sicilia questi vanno sfruttati tutti e subito, anche dentro “questa” Europa, finché c’è almeno. Se un giorno la Sicilia potesse fare parte solo dello Spazio Economico Europeo, senza restare nell’eurolager, sarebbe un sogno, ma nel frattempo bisogna realisticamente prendere tutto ciò che è nostro anche nell’attuale ordinamento.

 

Per questo il riconoscimento, pur privo di immediati effetti pratici, è un riconoscimento importante, da esibire all’Italia ogni volta che questa chiederà perché noi ci vogliamo considerare “speciali”. Non bisogna esaltarsi però. Questo strumento, affidato agli eurodeputati eletti nelle liste dei partiti italiani si potrà soltanto tradurre, se mai ciò accadrà, in qualche briciola clientelare, qualche politica differenziata, qualche fondo in più da distribuire agli amici…

No, un’affermazione di questa portata ha bisogno di ben altra attuazione.

Essa può essere il grimaldello attraverso il quale le norme contenute nello Statuto, magari riscritte con un linguaggio giuridico adeguato ai tempi, possono avere copertura nel diritto comunitario, e quindi superare tutte le obiezioni “abrogative” della Corte Costituzionale.

In teoria, addirittura, la norma europea è oggi così forte che supererebbe persino lo Statuto, in quanto fonte di rango superiore alla stessa Costituzione italiana (purtroppo, aggiungiamo, in generale, ma una volta che conviene a noi…).

Attraverso un “pacchetto” di attuazione dell’insularità, cioè in pratica una serie di regolamenti, il cui contenuto potrebbe in sostanza essere negoziato tra Europa e Sicilia direttamente, noi oggi potremmo avere uno speciale regime:

1. Fiscale (esenzione da tutti i trattati fiscali europei, tutti i tributi maturati in Sicilia trattenuti nell’Isola, e libera manovra su istituzione di imposte, basi imponibili, aliquote, detrazioni, etc.);

2. Commerciale (esenzione di tutto il commercio e il consumo di livello locale e “regionale” dalle normative europee per la tutela del prodotto locale, della qualità dell’alimentazione, della salute, dei redditi siciliani);

3. Doganale (regime speciale, come per i Paesi e Territori d’Oltremare, ponendo la Sicilia fuori dalla linea doganale europea, con porti e zone franche nei punti strategici);

4. Finanziaria (regime finanziario off-shore, controllo separato su banche e finanze siciliane rispetto alle autority italiane, possibilità di emissione di una moneta complementare regionale pubblica, parallela all’euro, per le transazioni interne).

Ma, guardiamoci allo specchio, chi deve far valere questi nostri sacrosanti diritti davanti all’Italia e all’Europa? Crocetta? Faraone? Musumeci? Ma per piacere…

Con i mandatari dei partiti italiani in Sicilia non otterremo mai niente di niente.

L’unica possibilità di far sentire la nostra voce è avere la nostra rappresentanza a Bruxelles. E per far questo ci vuole una cosa sola:

GARANTIRE A SICILIA E SARDEGNA UNA RAPPRESENTANZA NUMERICA DEFINITA E SEPARATA DAGLI SBARRAMENTI NAZIONALI ALLE ELEZIONI PER IL PARLAMENTO EUROPEO.

Finché l’Italia non abolisce lo sbarramento assurdo al 4 % per le elezioni europee, o le modalità penalizzanti di attribuzione di eurodeputati alle Isole, la Sicilia non avrà voce (e così la Sardegna, forse anche peggio). La rivendicazione degli indipendentisti siciliani, in attuazione dell’insularità, è quindi solo una, solo questa:

Dare alla Sicilia voce al Parlamento europeo. Senza, è solo fumo negli occhi, e il fumo non ci interessa.

 

 

 

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