Non è vero che boicottare il voto non ha valore politico. Cosa insegna il trend storico della partecipazione alle politiche in Sicilia

 

Abbiamo ricostruito l’andamento della percentuale di voti validi sugli aventi diritto in Sicilia, dall’Unità d’Italia a oggi. Quando ci sono più dati (Camera e Senato, referendum istituzionale, …) abbiamo fatto la media ponderata.

I risultati sono molto interessanti, e hanno un valore politico attuale.

 

Cominciamo però dall’inizio. Quante volte avete sentito dire che il “Plebiscito” del 1860 era una farsa, che era nullo?

Certo che era nullo, e se l’annessione della Sicilia all’Italia era fondata su quell’atto, noi Siciliani abbiamo tutto il diritto di rivendicare parimenti la nullità dell’annessione della Sicilia all’Italia.

A questa obiezione, però, gli unitari obiettano che poi i Siciliani avrebbero tacitamente accettato quella annessione. A ogni elezione politica è come se si ripetesse il Plebiscito e, andando a votare, i Siciliani ogni volta dicono “Sì” all’annessione all’Italia, perché si riconoscono in questo sistema politico.

Forse si potrebbe fare l’eccezione del 1946 (e in parte del 1948), nella quale si presentavano pure gli indipendentisti. In quel caso votare non significava accettare l’Italia; significava mandare a Roma degli ambasciatori per la Sicilia indipendente. Ma … le altre volte? Quel grafico che vedete sembra certificare una partecipazione tutto sommato massiccia dei Siciliani che si riconoscerebbero nell’Italia unita.

Il dato però va letto con maggiore attenzione.

Tutte le elezioni politiche dal 1861 al 1909 erano a suffragio ristretto, e quelle fino al 1880, a suffraggio “ristrettissimo”: aveva diritto al voto meno del 2 % della popolazione maschile, triplicata dal 1882, ma sempre stabilmente sotto il 10 %.

In queste condizioni, se consideriamo pure che in questo periodo la Sicilia prese le armi 4 volte (tanti furono gli stati d’assedio proclamati dallo Stato italiano) contro lo Stato italiano, non ha senso parlare di “legittimazione democratica”. In pratica aveva diritto di votare solo la classe dirigente, e, nei primissimi tempi, addirittura solo l’aristocrazia e l’altissima borghesia.

Eppure, anche con queste restrizioni, passata la prima euforia, il trend appare complessivamente discendente. Persino la classe dirigente progressivamente abbandona le elezioni, nonostante qualche breve ritorno di fiamma, comprendendo l’inutilità della partecipazione dei Siciliani a questa farsa.

Nelle elezioni del 1913, finalmente, arriva il suffragio universale, seppure soltanto maschile ancora. Gli anni precedenti erano stati quelli di una progressiva rottura tra Sicilia e Italia, con la Questione Sicilia a farla da padrona.

Non appena i Siciliani, almeno i maschi, ebbero la possibilità di decidere la loro appartenenza come cittadini (sudditi) del Regno d’Italia, subito voltarono le spalle al regime. Le elezioni del 1913 segnano per la prima volta il crollo sotto il 50 % degli aventi diritto. Ricordiamo che, fra gli eletti, e quindi fra chi ancora credeva a quel sistema, c’erano separatisti allo stato latente, primo fra tutti Andrea Finocchiaro Aprile.

Fino alla vigilia del fascismo il trend è quello, addirittura calante. La Sicilia non è Italia, non va a votare.

Il Separatismo era allora una corrente già in atto, e il fascismo valse soltanto a soffocarla, ma non a sradicarla.

Le elezioni del 1924, con una debole salita sopra il 50 %, non fanno testo: furono le elezioni truccate dalla Legge Acerbo e segnate dalla violenza delle squadracce fasciste.

Le due successive elezioni apparentemente segnano un picco di partecipazione vicino al 100 %. Ma si tratta dei plebisciti-farsa del fascismo, con metodi di votazione identici a quelli del Plebiscito del 1860: schede prevotate, voto palese, listone unico, scelta solo tra lista “SÌ” e lista “NO”, e “obbligo” di andare a votare per non farsi schedare come oppositore al regime. 

Durante il fascismo l’Italia non ebbe in Sicilia alcuna legittimazione democratica.

In una parola, dal 1860 al 1946, lo Stato di Sicilia fu MILITARMENTE E ABUSIVAMENTE OCCUPATO DALL’ITALIA.

Con la Repubblica le cose cambiano.

Dopo la Guerra Civile del 1943-46, la Sicilia si conquista uno Statuto di Autonomia confederale, quasi da paese indipendente.

I Siciliani ci credono. E vanno a votare, questa volta in massa, con suffragio veramente universale, maschile e femminile.

 A questo punto è difficile sostenere che l’Italia occupava ancora abusivamente la Sicilia. I Siciliani del Dopoguerra, votando per le istituzioni della Repubblica, ne riconoscevano la legittimità. Persino gli indipendentisti, che avevano strappato l’Autonomia, riconoscevano i termini della tregua, e rimandavano il “sogno” a tempi migliori.

Ma, da quella data, poco a poco, la “disaffezione” ha ripreso piede, come ai tempi della monarchia, dapprima lentamente, poi sempre più velocemente. E questa volta non nel ristretto ambito delle classi dirigenti, ma tra tutta la popolazione.

Il grafico parla chiaro. A parte un po’ di “smarrimento” per il Mattarellum, che determinò un numero di schede nulle superiore al normale, il trend di fondo è quello di una progressiva disaffezione.

Oggi, per la prima volta dal 1921, c’è il “rischio” (l’opportunità dal nostro punto di vista) che i voti validi scendano di nuovo sotto il 50 %, e con loro la legittimità dell’occupazione italiana della Sicilia.

È un risultato importante, che non va sottovalutato. La Sicilia è in fermento, anche se la rottura con lo Stato non ha trovato ancora la sua giusta conclusione. I partiti italiani non possono offrire nulla alla Sicilia. Non ci sono le condizioni, a legge elettorale vigente, per una partecipazione siciliana autonoma, perché andare a votare?

Ma il voto nullo (o l’astensione al limite) non è solo un giudizio di opportunità sull’inutilità del voto. Nessuno lo scambi per una scelta rinunciataria!

La partecipazione è stata minima poco prima del fascismo, quando la Sicilia stava per prendere per la propria strada, ed è stata massima durante il fascismo, quando eravamo al minimo della nostra rappresentanza politica. Più votiamo per l’Italia e più siamo incatenati.

NON VOTARE, O MEGLIO VOTARE SCHEDA BIANCA, O ANCOR MEGLIO VOTARE SCHEDA NULLA, SIGNIFICA VOTARE CONTRO LO STATO ITALIANO E LE SUE SOPRAFFAZIONI CONTRO LA SICILIA. Contro il linciaggio mediatico quotidiano della Sicilia, contro la condanna alla disoccupazione strutturale, contro l’assenza di infrastrutture e servizi da paese civili, in una parola il voto nullo è un voto CONTRO la condizione coloniale della Sicilia.

Se il voto valido scenderà sotto il 50 % degli aventi diritto noi faremo valere questo voto. Noi attaccheremo intanto moralmente, e poi politicamente, una dominazione ormai del tutto delegittimata.

Non facciamoci incantare dalle sirene del voto “inutile”. 

Ricordiamolo bene: l’unico voto perso è quello dato ai partiti italiani!

La pacifica resistenza siciliana comincia dal boicottaggio di un voto politico truccato.

Iniziamo col togliere all’Italia ogni legittimazione democratica nell’occupazione della Sicilia.

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