Chi pensa che “noi” siamo sempre i “ricchi occidentali” e gli immigrati sono sempre i “poveri”, e quindi che dobbiamo chiudere un occhio su qualche illegalità, perché noi portiamo sulle nostre spalle le responsabilità storiche del colonialismo, deve aprire gli occhi e fare i conti con una realtà diversa.
Questa realtà è che l’adeguamento “agli stili di vita” degli immigrati, che invocava in tempi non sospetti la Presidente della Camera Boldrini, da noi è già realtà. Noi siamo “immigrati a casa nostra”, costretti a lavorare in condizioni neoschiaviste, talvolta persino in esercizi commerciali di immigrati di alcune comunità che, certo senza generalizzare, spesso sono fonte di illegalità, evasione e abusivismo commerciale, giuslavoristico e previdenziale.
La “notizia” è quella di due ragazze catanesi, costrette “per bisogno” a lavorare in un esercizio commerciale cinese per la incredibile somma di 1,60 euro l’ora. Oltre alla paga da fame la polizia ha riscontrato altre gravi violazioni della dignità dei lavoratori, come luoghi sporchi, assenza di spogliatoi, videocamera per sorvegliarli in continuazione ed altre inadempienze varie.
Non ci facciamo per questa ragione trascinare al facile razzismo. Sappiamo bene – e denunciamo con forza – che molto spesso sono proprio gli immigrati condannati a queste forme di neoschiavismo, come con la “tratta” delle rumene nei campi del ragusano, dove oltre alle paghe da fame, le lavoratrici sono soggette ad abusi e “festini” da parte dei “padroni”.
Ma non eravamo nell’Europa dei diritti? Dov’è lo “stato sociale” (a parte il Festival di San Remo)? Quello che sta accadendo sotto i nostri occhi è fin troppo chiaro. La fase “suprema” del neocapitalismo, il culmine dell’integrazione dei mercati, pare sia proprio la reintroduzione della schiavitù, che non a caso è stata recentemente introdotta persino sulle colonne del “Sole 24 Ore”, sia pure come “provocazione intellettuale” (si comincia sempre così, con tutte le “finestre” nuove per le frontiere della modernità).
Qual è la “forza” di questa tirannia? Come porre un argine a un regresso che ci riporta indietro di millenni? Noi Siciliani siamo sempre stati un popolo all’avanguardia. Re Federico III, già ai primi del 1300, aveva concesso l’emancipazione a tutti i servi della gleba che si fossero convertiti al cattolicesimo (ce n’erano molti ancora di religione ortodossa all’epoca), trasformando di fatto tutti i “villani” in pochi anni in “braccianti” salariati, poveri ma liberi. La “schiavitù” già era sparita di fatto sin dall’invasione Normanna, teoricamente restando per qualche prigioniero di guerra e delle guerre “da corsa” fino ai primi del 1800, quando fu spazzata via dalla gloriosa Costituzione del 1812.
Ora, nel nome del dio “Mercato”, la stiamo reintroducendo? Dov’è finito lo spirito di Euno, re Antioco di Sicilia, che coraggioso spezza le catene imposte dall’antica Roma? Ed è la nuova “Roma”, la diabolica “Unione Europea” che piano piano ci sta trasformando in un popolo che accoglie nuovi schiavi, e in cui il proletariato scivola verso la servitù, mentre il ceto medio sprofonda nella nuova povertà.
La “cifra” di questo nuovo orrore è il mondialismo, l’assenza di barriere, di confini. I confini non sono – come ci insegnano e ci propagandano pelosamente – solo odio e guerra. I confini sono anche difesa: difesa di un popolo, difesa di un’economia, difesa di una cultura.
L’indipendentismo sarà “aperto” agli scambi con il mondo esterno, alla pace del Mediterraneo. Ma non sarà, non potrà essere mai “svendita” della Sicilia al primo che viene. Gli investimenti esteri devono essere nel segno della legalità, dell’interesse nazionale, del rispetto dell’ambiente, dell’etica e soprattutto nel rispetto dei Siciliani, che devono venire al primo posto.
I nostri ragazzi scappano, e quelli che restano devono praticamente regalare il loro lavoro. Noi dobbiamo prenderci la polizia siciliana per reprimere questi abusi, e – finché questa è nelle mani dello Stato italiano – pretendere che i negrieri chiudano bottega.
Ma soprattutto dobbiamo creare condizioni favorevoli all’autoimpiego, all’insediamento produttivo, e questo si otterrà solo sburocratizzando e dando alla Sicilia quella fiscalità di vantaggio e quella continuità territoriale che le spettano, per diritto naturale, prima ancora che per diritto europeo.
Per ora denunciamo e stiamo al fianco dei lavoratori sfruttati. L’informazione è potente, non sottovalutiamola. Denunciamo, denunciamo chi vuole il nostro sangue. Un popolo nato libero non resterà a lungo in catene.