Regione Siciliana: rischio crack per salvare l’Italia? Anche no!

Apprendiamo dal quotidiano La Repubblica (edizione di Palermo) di ieri 02/04/2020 che la Regione è a rischio crack e che per evitare il fallimento servirebbero 1,4 miliardi di euro. La proposta del Presidente Musumeci è quella di recuperarli dal contributo al risanamento del debito pubblico dello Stato, che per la Sicilia vale, appunto, circa 1,4 miliardi di euro. Dato che la situazione eccezionale consente allo Stato di non curarsi dell’aumento del debito, non vediamo perché non riversare tale deroga anche agli Enti Locali; tanto più che, come Siciliani Liberi denuncia da anni, quello siciliano è il secondo contributo più alto in termini assoluti, circa 100 milioni di euro inferiore a quello della Lombardia, che però ha il doppio della popolazione e un PIL pro-capite più che doppio (€ 38.200,00) della Sicilia (€ 17.400,00 – dati 2017, fonte Dati territoriali ISTAT – Wikipedia).

Il Vice Presidente della Regione e Assessore all’Economia, Gaetano Armao, per contro, richiede la sospensione dei mutui con Cassa Depositi e Prestiti che gravano sulla Regione per circa 400 milioni di euro all’anno. Questo mutui sono stati accesi in quanto lo Stato, come riconosciuto dalla Corte Costituzionale con alcune sentenze nel 2014, trattiene illecitamente imposte dei siciliani per circa 5 miliardi di euro all’anno, quindi per chiudere i bilanci la Regione è stata costretta a chiedere in prestito allo Stato una parte dei soldi che lo Stato le ha “sottratto illecitamente” o, per usare un’espressione che una volta era tanto cara a Musumeci, le ha rubato “con destrezza”.

Continuiamo con i “mancati introiti” in merito alla Sanità. Nel 2006 il Governo Prodi inserisce nella legge finanziaria uno “strano accordo a somma zero” fatto con la Regione Siciliana in cui il contributo statale alle spese sanitarie passava dal 58% al 50% per un valore di circa 600 milioni di euro, tale importo sarebbe stato, però, riconosciuto alla Regione a valere sulle accise petrolifere. In sintesi la Regione si faceva carico di più spese sanitarie per 600 milioni di euro ma avrebbe dovuto incassare 600 milioni di euro di accise sul petrolio estratto in Sicilia. La riduzione del contributo statale è avvenuta a partire dal 2007, ma le accise sono rimaste saldamente allo Stato (ad oggi è un importo prossimo all’intero debito pubblico siciliano).

Infine ci sono le già citate sentenze della Corte Costituzionale del 2014. Se il Presidente Musumeci stracciasse l’accordo Padoan-Crocetta del 2014 (confermato con l’accordo del 2016) avrebbe immediatamente disponibili ben 5 miliardi di euro all’anno più ulteriori 5 miliardi di euro una tantum di “crediti inesigibili” che la Regione vanta verso lo Stato (i cosiddetti “residui attivi” frettolosamente cancellati perché, appunto, ritenuti inesigibili, ma che inesigibili non sono, non essendo ancora fallito lo Stato Italiano).

Non vorremmo che eventuali “aiuti” statali, passata la crisi, diventassero l’ennesimo cappio al collo di una Regione Siciliana dissanguata per aiutare lo Stato Italiano in una assurda sindrome di Stoccolma.

Alfonso Nobile

Vicepresidente Autonomia & Ambiente in rappresentanza
del Movimento Siciliani Liberi

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