Matteo Messina Denaro è davvero persona infida, e da lui c’è da aspettarsi di tutto.
Ora spunterebbero, ma guarda!, suoi vecchi presunti “pizzini” in cui biascica alcune corbellerie sui mafiosi “figli di questa terra di Sicilia” e contro “lo Stato sabaudo” e bla bla…
A noi tutto ciò pare strano, molto strano. Quanto meno sarebbe un ingrato. Dopo tutto quello che lo Stato ha fatto per lui, garantendogli decenni di impunità e, ora che è malato, un buen retiro, forse anche senza 41-bis, se ne esce con queste intemerate?
A noi sembra strano, addirittura – diciamolo chiaramente – sa di depistaggio. E non sarebbe certo la prima volta in questo strano paese chiamato Italia.
Con tutto il potere gestito dalla mafia nei decenni passati, poi, se avessero voluto fare una “secessione” a quest’ora l’avrebbero certamente fatta.
A noi risulta invece che, da quando la Sicilia è italiana, è stata proprio Cosa Nostra a sbocciare prima e a trovare terreno fertile dopo. Che ingrato! Anzi, sembra proprio che la differenza tra le comuni mafie che si possono trovare dalla Colombia al Giappone e Cosa Nostra, sia proprio la sua natura politica; natura di strumento di dominazione dello Stato italiano sulla Sicilia.
A noi risulta, a prenderla larga, che gli assassini di Emanuele Notarbartolo trovarono a Roma la loro assoluzione.
A noi risulta che quando Mori, il “prefetto di Ferro”, stava per arrivare al “terzo livello” colluso con il regime fascista, fu prontamente rimosso dall’incarico.
A noi risulta che Calogero Vizzini, quando capì che il movimento indipendentista non era “scalabile” dalla mafia, abbia scelto i partiti italiani, e dopo di lui anche Genco Russo abbia fatto la stessa scelta.
A noi risulta che nel 1947, alle prime elezioni regionali, la mafia abbia organizzato Portella della Ginestra e indirizzato, da allora, il proprio voto prevalentemente sulla Democrazia Cristiana.
A noi risulta che i Salvo si siano impadroniti di quasi tutte le esattorie dell’Isola solo quando fu definitivamente sconfitto l’Autonomismo di Milazzo.
A noi risulta che chi ha sollevato il problema del colonialismo interno, e dei diritti della Sicilia, da Piersanti Mattarella a Pio La Torre, abbia pagato con il sangue, mentre i politici centralisti, “stranamente”, non hanno avuto mai nulla da temere.
A noi risulta che personaggi del calibro di Lima o Dell’Utri non avessero certo ascendenze indipendentiste, ma solidi appoggi addirittura alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
A noi risulta che un pezzo di Stato ha depistato le indagini sulla morte di Borsellino, e che lo Stato, sì, proprio lo Stato, la trattativa l’ha fatta, eccome. Ed è stato teorizzato da valenti giuristi che questa sarebbe ragion di stato, e quindi non reato.
A noi risulta, in una parola, che la mafia è “Cosa Vostra” e non “Nostra”, e che quando i Siciliani tentano di alzare la testa, diventa sin troppo facile accusarli di essere “maffiosi”, come da ultimo è stato fatto nel 2012, durante la rivolta dei “Forconi”.
A noi questa storia puzza, puzza tanto. Se è un delirio isolato, no comment. Ma se fosse un tentativo di legittimare la dominazione italiana in Sicilia, ben orchestrato, e pertanto di infamare il Sicilianismo, sappiate che è troppo manifesto perché sia credibile.
Una false flag, che respingiamo con sdegno e che vi rimandiamo al mittente, insieme al “vostro” amato collaborazionista.