di Giovanni Guadagna
È recentemente riapparsa agli onori della cronaca la vicenda relativa al possibile arrivo in città di un nuovo centro commerciale. Un’ampia area, ancora non confermata dalla multinazionale in questione, ma ricca di orti ed agrumeti.
Un’area residuale degli antichi coltivi che, per lo sviluppo di Palermo, hanno rivestito un indubbio valore storico oltre che naturalistico.
Un nuovo possibile insediamento, dunque, che farebbe seguito ad altri mega impianti, tutti più o meno riferibili ad imprenditori esteri o comunque lontani dalla Sicilia. In buona parte dei casi queste aree ricadono nella periferia. Il motivo è ovvio: l’enormità di tali insediamenti richiede la vicinanza di grandi vie di comunicazione ed una buona raggiungibilità (fatto, quest’ultimo, che non sempre si realizza). Perdiamo così il fruttivendolo, la pizzeria come la cartoleria sotto casa per andare a fare incetta di tutto nei grandi centri commerciali. Dagli occhiali, ai giocattoli, passando per i pneumatici, vestiti, scarpe, finanche piante, libri, arancine e cannoli, tutto è a disposizione del consumatore sebbene in funzione delle esigenze imprenditoriali che devono portare alla capitalizzazione di quanto investito.
In molti casi, vista la particolare ubicazione richiesta, i nuovi insediamenti che intestano al loro interno pure vie e piazzette, hanno occupato spazi “liberi”, ossia senza rilevanti antecedenti edificazioni. In altri termini, al di là del rispetto del Piano Regolatore e sue eventuali varianti, non può non supporsi come le aree in questione abbiano avuto, negli anni passati, una vocazione agricola.