Viaggio nella controriforma costituzionale – Un voto informato dal punto di vista della Sicilia

Cominciamo oggi un “viaggio” informativo sulla controriforma autoritaria che spazza via la Costituzione Democratica uscita dalla tragedia della guerra. Lo faremo privilegiando il punto di vista della Sicilia, la quale esce letteralmente tramortita da questa manovra.

Cominciamo dal nome della legge. Siamo nell’epoca dell’apparire che sovrasta l’essere. Già il nome della legge costituzionale è uno “spot”. Si chiama così, (nostri i corsivi per evidenziare la “pubblicità” governativa):

«Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione».

La parte più “onesta” è quella finale, in cui si dice effettivamente ciò che si fa. Questa parte finale – peraltro – è quella che colpisce più di tutte gli interessi della Sicilia come vedremo.

La prima parte è pubblicità allo stato puro. Il bicameralismo perfetto non è abolito o riformato, è “superato”. Il messaggio subliminale è quello del “nuovo che avanza”. Chi non è d’accordo è “superato”, “obsoleto”, “vecchio”, “da rottamare”. C’è un “giudizio di valore” nella norma, ben nascosto. Poi si dice, il che è vero solo in parte, che il numero dei parlamentari è “ridotto”, cavalcando l’antipolitica ormai incontenibile. Chi non sarebbe d’accordo a ridurre le “poltrone”? Poco importa se hanno tolto quelle sbagliate. Non dicono – come vedremo – che se si riducono i parlamentari in modo “asimmetrico”, cioè di più al Senato e niente alla Camera, ci sono effetti distorsivi pazzeschi, l’importante è dire che si tagliano i posti (mai le retribuzioni, ci mancherebbe). E, ciliegina sulla torta, si “contengono i costi”. Wow, giustizia è fatta! Basta con gli sprechi della casta! Naturalmente di queste cose nei contenuti c’è ben poca traccia, un po’ di fuffa per gonzi. Ma l’importante non è fare le cose, l’importante è dirle, dirle, dirle tante volte finché non sembrano vere.

Vediamo oggi le prime modifiche alla Costituzione, quelle che riguardano il Parlamento in quanto tale.

Diciamo subito che il bicameralismo non è affatto “superato”. Non c’è una distinzione di funzioni tra Camera e Senato in cui alla seconda camera vengano date funzioni di controllo o di contrappeso. No, la seconda camera perde la propria caratteristica più importante, quella elettiva, per diventare una sorta di “Consiglio delle Autonomie”, quindi perde ogni legittimazione democratica, estendendo però privilegi e immunità ai consiglieri regionali e sindaci che ne faranno parte.

Le “vere” funzioni del Parlamento, le più importanti, sono concentrate nella sola Camera: fiducia al Governo, controllo sul Governo, potere legislativo. Il punto è, però, che la Camera, con un’opportuna legge elettorale collegata a questa controriforma costituzionale (e che infatti va in parallelo, l’Italicum) non esprime più nulla di realmente diverso dal Governo. Governo e Parlamento sono formalmente distinti, ma di fatto saranno la stessa cosa. Chi “vince” le elezioni (vedremo come alla fine di questo excursus) lascia un ruolo di tribuna sterile alle opposizioni, senza alcun potere di condizionare o di controllare realmente il Governo se non in modo puramente formale.

Il Governo (insieme all’opposizione di sua maestà) designerà i futuri deputati. Questi voteranno per acclamazione la fiducia al Governo, ma voteranno per acclamazione qualunque cosa il Governo presenterà loro. Quello che oggi appare un abuso, l’assenza di dibattito in Parlamento, diventerà la norma. I provvedimenti legislativi, tutti quelli che contano, come ai tempi del fascismo, saranno elaborati in Consiglio dei Ministri, e passati alla Camera solo per una formale ratifica. Il modello è aziendale, quello della società per azioni, dove chi ha il pacchetto di maggioranza decide tutto in consiglio d’amministrazione e passa sbrigativamente una volta l’anno dall’assemblea degli azionisti per fare ratificare bilanci e nomina amministratori.

Quali sono le funzioni che restano al Senato non elettivo? La cosa è un po’ avvolta nel mistero. Sono funzioni fumose, indefinite, rinviate a successive leggi. L’unica cosa che si capisce è che il rispetto di questi “riti” presumibilmente rallenterà, anziché velocizzare, il processo legislativo. Partecipazione non determinante ai processi legislativi, pareri irrilevanti che faranno perdere tempo, e un misterioso “raccordo” tra Stato ed enti locali, e tra questi e, nientedimeno, l’Unione Europea.

Insomma il Senato non sarà come il potente Bundesrat tedesco o la Camera Alta russa, in rappresentanza autorevole degli stati e delle autonomie, né come il potente Senato americano, che rappresenta gli Stati ed ha importanti funzioni di politica estera, ma nemmeno come il Senato francese e nemmeno come la consultiva ma attiva Camera dei Pari britannici. No, sarà un ente inutile, giusto per non fare sentire troppa nostalgia del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro che (unica cosa buona della riforma) viene soppresso in quanto organo inutile.

Ecco, in una parola, potremmo dire che la funzione del nuovo Senato sarà quella di un nuovo CNEL, ornamentale, inutile, costoso e d’intralcio.

Però avrà solo 100 senatori invece di 315. Tutto il risparmio di “poltrone” finisce lì, il costo di un aereo da guerra l’anno; il risparmio sulla rappresentanza democratica è invece garantito. La struttura resta immacolata tale e quale con i suoi privilegi unici al mondo. Restano i 5 senatori nominati dal Presidente, ancorché non a vita ma per 7 anni (questo li renderà più indipendenti? Dubitiamo, avendo lo stesso mandato del Presidente che li esprime). Il peso dei Senatori non eletti, inutile retaggio del Senato del Regno, dove erano tutti nominati dal Re, su “consiglio” del Governo, sale da 1 su 63 a 1 su 20 (il 5 %!). Ma non ci scandalizziamo troppo, in fondo anche il restante 95 % del Senato non lo elegge nessuno, in quanto tale almeno.

Il guasto più grave di questo taglio “asimmetrico”, però, è sulle “funzioni comuni del Parlamento” (ne parleremo più avanti). Se si tagliano solo i Senatori, e non anche i deputati, il peso dei senatori, oggi pari al 50 % di quello dei deputati, si riduce al 16 % circa. Se la funzione del “Parlamento in seduta comune” era quello di garantire i cittadini in alcune decisioni di particolare importanza, come ad esempio la nomina di giudici costituzionali o del Presidente della Repubblica, in queste condizioni numeriche questa garanzia viene meno. Infatti il partito che, con l’Italicum, si sarà assicurato il 55 % dei Deputati, avrà – a conti fatti – bisogno di avere in Senato appena un 20 % di rappresentanza per avere la maggioranza assoluta anche nel Parlamento in seduta comune (abbiamo fatto un po’ di conti). L’idea è sempre la stessa: la dittatura della minoranza più organizzata. Un partito che prende tra il 20 e il 25 % al primo turno (e quindi largamente minoritario), in assenza di concorrenza significativa può “farcela” al ballottaggio, anche in presenza di un astensionismo diffuso, e con queste percentuali minoritarie controllare tutto: Governo, magistratura, presidenza della Repubblica e Corte Costituzionale. E, tramite il Governo, anche la TV pubblica e quindi il nerbo dell’informazione. Bella prospettiva, non c’è che dire…

Veniamo alla Sicilia adesso.

Il Senato dovrebbe essere diviso per regioni in funzione del numero di abitanti.

Ma le garanzie minime di due senatori per regione, fa raddoppiare l’unico senatore della Val d’Aosta, ne garantisce minimo 4 al Trentino-Alto dige (perché lì contano le “Province Autonome”, non la Regione), mentre le regioni grandi sono penalizzate nella rappresentanza. Probabilmente 7/8 senatori per 5 milioni di abitanti, mentre il Trentino-Alto Adige ne avrà 4 per poche centinaia di migliaia. Si vede che siamo tutti ugualmente cittadini, ma alcuni saranno “più uguali” di noi.

Oltre a perdere voce in termini assoluti e relativi, però, la Sicilia perderà però per sempre quel ruolo di interdizione che ha sempre avuto, e che – purtroppo – non ha mai usato. Persino nel Regno d’Italia, se avessimo voluto, con il sistema dei collegi uninominali, avremmo potuto esprimere una deputazione che pretendesse il rispetto della Sicilia. E così nei lunghi anni della Prima Repubblica, quando vigeva il proporzionale puro.

Ed effettivamente era ciò che succedeva di tanto in tanto, sia pure sporadicamente.

Con l’avvento delle leggi maggioritarie, dagli anni ’90 in poi, il peso specifico della Sicilia è diminuito, ma non scomparso.

Fino ad oggi, infatti, se i Siciliani volessero, potrebbero mandare almeno in Senato (la Camera già, con i suoi sbarramenti “nazionali” ha tolto il diritto di voto a chi non si rivede nei partiti italiani) una massiccia rappresentanza differenziata dai partiti nazionali che possa condizionare maggioranze parlamentari e voti di fiducia.

Se i Siciliani volessero, ancor oggi, potrebbero pretendere il rispetto del loro Statuto, continuamente violato e vessato, eleggendo una pattuglia di 20 senatori almeno in grado di fare ballare qualsiasi governo. Quello che hanno ottenuto 1 senatore “valdotain” o 2/3 senatori “suedtiroler”, sarebbe una pallida immagine di quello che potrebbero ottenere una ventina di senatori veramente Siciliani. Potrebbero persino pretendere, come i suddetti omologhi delle altre regioni autonome, che gli sbarramenti “nazionali” non valgano neanche alla Camera per noi.

Non l’hanno mai fatto. Ma possiamo ancora farlo, il tempo non è scaduto. Se almeno siamo in grado di sganciarci definitivamente da una rappresentanza a livello statale che non ha mai fatto i nostri interessi, dal 61 a 0 ad oggi certamente, ma anche prima.

Con questa riforma invece il diritto di voto ai Siciliani è tolto per sempre. I Siciliani non potranno svincolarsi più dall’abbraccio mortale con l’Italia. Se l’Italia continuerà a calpestare la Sicilia e se tutti i partiti italiani sono d’accordo tra loro in questo (come sono d’accordo) cosa potranno fare?

Qualunque rappresentanza in Senato, vista l’assenza di reali poteri, non impensierirebbe minimamente il Governo.

Alla Camera ci pensa la legge elettorale a continuare a togliere ai Siciliani il diritto di voto.

Non ti piace l’offerta bloccata della ditta “Pd o FI o Lega o M5S”? Niente da fare, non ti tocca un deputato! Solo superando il 40 % un partito siciliano potrebbe con certezza superare lo sbarramento nazionale al 3 %. Mettere uno sbarramento ai partiti “regionali” al 40 % equivale a togliere loro il diritto di voto. Ma – anche se per avventura i Siciliani si organizzassero e mandassero questa massiccia rappresentanza – non servirebbe a niente, giacché il premio di maggioranza al vincitore del ballottaggio ridurrebbe la rappresentanza di un partito siciliano anche di maggioranza assoluta, a semplice e inoffensivo “diritto di tribuna”.

La posta in gioco per la Sicilia è quindi quella della perdita totale di qualunque potere d’interdizione all’interno dello Stato italiano. E se ci hanno trattato così male quando questo potere lo avevamo e non lo abbiamo mai esercitato (ma ci poteva essere il timore che lo avremmo fatto) cosa ci faranno quando sapranno che l’unica via di uscita per la Sicilia è quella che non si può dire?

(segue)

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