Cosa succede ora in Catalogna? La strada per un’indipendenza pacifica

 

Il Parlamento catalano ha votato a maggioranza un provvedimento che avvia la separazione del paese dalla Spagna. Cosa succederà adesso?

Può essere un esempio anche per la Sicilia?

 

I giornali spagnoli sono oggi pieni del presunto “tradimento” dei Catalani, rei di aver avviato un processo di separazione “unilaterale”, “senza trattative”.

Lasciateci dire che queste accuse sono del tutte ipocrite. Dimenticano che il “dialogo”, le “trattative”, non sono state certo interrotte dai Catalani. La loro corte costituzionale, come la nostra, a ogni passo dice “non si può fare”, e secondo loro il discorso è chiuso così, per via giudiziaria.

E’ normale che, di fronte alla totale chiusura della Spagna rispetto alle istanze del Popolo Catalano, questo abbia tutto il diritto di fare da sé, di prendere per la propria strada.

Non dimentichiamo che la Spagna ha impedito l’esercizio di un atto di grande democrazia, a differenza di quanto ha fatto il Regno Unito con la Scozia, ovvero il referendum sull’indipendenza. La risposta, ottusa, è stata: “Non si può fare, la nostra Costituzione non lo prevede”.

Dimentica la Spagna che nessuna costituzione può impedire a un Popolo che vive in una terra dai confini ben definiti, con 5 milioni di abitanti, con secoli di storia di stato a sé, e soprattutto che oggi vuole in gran parte l’indipendenza, di andarsene. Esiste un diritto naturale dei popoli all’autodeterminazione che nessuna costituzione può comprimere. Il rifiuto del referendum è stata una risposta ottusa, anche perché – come insegna il caso scozzese – non è affatto detto che avrebbe vinto il SI’ all’indipendenza. Troppi legami con il resto della Spagna, troppi immigrati di prima generazione non assimilati alla cultura locale, troppi collaborazionisti dei partiti centrali, e soprattutto troppa “paura” sparsa a piene mani dall’informazione ufficiale che fa presa soprattutto sulle più anziane generazioni, sempre le più ostili a cambiare idea e a “buttarsi nel nuovo”.

Di fronte a questo diniego i partiti indipendentisti si sono uniti alle elezioni regionali, dando a queste il valore di referendum.

Il risultato è stato ambivalente. Da un lato gli indipendentisti non hanno avuto la maggioranza assoluta dei voti. Dall’altro l’hanno rasentata e sono riusciti ad avere la maggioranza dei seggi, che è poi quello che conta in fondo.

Il caso catalano è diverso da quello siciliano, per tanti motivi. Non esistono nella storia casi identici.

Il separatismo catalano è “da ricchi”, quello siciliano è “da colonizzati”. Il separatismo catalano ama l’Europa (non ricambiata), noi – nella migliore delle ipotesi – siamo disposti a sopportarla temporaneamente, ma considereremmo una benedizione il poterne uscire. Il separatismo catalano ha preservato una lingua nazionale viva, nella quale sono redatti giornali e nella quale funzionano scuole e televisioni. Noi siamo all’ABC di un attivismo linguistico per la lingua nazionale siciliana e dobbiamo realisticamente usare come lingua di lavoro politico quella diffusa in Sicilia da 500 anni.

Ci sono molte differenze, ma ci sono anche analogie, anche storiche, che per brevità non richiamiamo. La più importante è quella di fare parte di un paese che non prevede in alcun modo di mettere in discussione la propria unità politica.

Quello che succederà in Catalogna, quindi, diventa un caso di scuola anche per noi. Potremo seguire i loro successi, e imparare eventualmente dai loro errori.

Si vedrà se riusciranno a rendersi indipendenti per via pacifica, o se alla fine ci sarà una svolta cruenta. Si vedrà se ci sarà un’espulsione automatica dall’Unione Europea e come saranno gestiti i rapporti con l’estero il giorno dopo. Insomma la Catalogna è un laboratorio anche per noi Siciliani, che quindi possiamo e dobbiamo guardarla con attenzione.

Noi siamo ormai convinti della necessità di avviare prima o poi un percorso di piena indipendenza per la Sicilia, ne va semplicemente della nostra sopravvivenza. Questo è ormai evidente, dopo il fallimento clamoroso di 200 anni di unione politica con l’Italia. Solo una colonizzazione mentale indotta dai sistemi formativi e informativi italiani possono negare una cosa tanto evidente.

L’obiezione che ci sentiamo fare spesso è però la seguente. Finite tutte le fasi intermedie, dalla difesa dell’Autonomia, al rilancio di un rapporto Confederale, di una Zona Economica Speciale, di tutto quel che vorrete, come farete a rendervi indipendenti? Qual è la via giuridica? L’art. 5 della Costituzione Italiana prevede l’indivisibilità della Repubblica. La vostra idea quindi è “illegale”.

Noi riteniamo molto miope questa concezione. Nessuno ha mai fermato un Popolo che compatto vuole l’indipendenza. La via d’uscita la troviamo, dobbiamo solo crederci. Non crediamo a uno stato italiano che manda i carri armati in Sicilia per domarla. E se lo facesse… peggio per l’Italia, non per la Sicilia.

Non sappiamo come andrà a finire con la Catalogna. Guardiamo con attenzione. Ma questa storia già porta con sé due insegnamenti.

Il primo è che, di fronte a uno stato centrale che nega il principio di autodeterminazione dei popoli, a un certo punto è necessario uno strappo istituzionale. Costi quel che costi. Se aspettiamo di andare dietro alle interpretazioni della Corte Costituzionale, non ne usciremo mai vivi.

Il secondo è che ci vuole compattezza. La mozione in Catalogna è passata troppo “a maggioranza”: 72 contro 51. Troppi deputati “contro”. Quando la Sicilia deciderà di andar via, invece, dovrà essere un plebiscito, con la stragrande maggioranza dei Siciliani che decide finalmente di riprendersi la propria libertà.

Finché non è ancora così è serio e responsabile darsi obiettivi intermedi. Non è rinuncia all’indipendenza, mai, è lotta per la sopravvivenza economica della Sicilia, che non è più rinviabile a un remoto “sole dell’avvenire”. Ne abbiamo bisogno ora, subito. Ora, subito, dobbiamo dare una prima risposta ai problemi di sopravvivenza dei Siciliani, nella consapevolezza che, dentro l’Italia e l’Europa, se va bene, si può solo sopravvivere. Per “vivere”, la soluzione è una sola, quella per cui esistono e lavorano i “Siciliani Liberi”: lo Stato di Sicilia indipendente.

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