L’accordo capestro Stato-Regione: spieghiamo che succede

Alcuni nostri lettori, amici e simpatizzanti ci chiedono cosa sta succedendo. Che cos’è questa storia dell’accordo capestro tra Stato e Regione. Siccome è una colossale truffa ai loro danni, riteniamo utile sintetizzarla nuovamente. Il fatto che l’abbiano definitivamente approvata ad agosto, non nasconderà questa vergogna.

 

Premessa: La storia che la Sicilia è mantenuta dall’Italia è una leggenda metropolitana. La realtà è che la Sicilia ha ormai da tempo spesa pubblica pro-capite, dipendenti pubblici pro-capite, investimenti pro-capite, ben al di sotto della media nazionale.

La Sicilia è oggi una terra che, a fronte di una pressione fiscale identica a quella di Milano (anzi leggermente superiore), all’incirca del 75 %, e con una moneta identica a quella di Francoforte, gode dei servizi pubblici del Sud Sudan. In queste condizioni non può che aumentare la sofferenza, la disperazione, il sottosviluppo.

La stampa “italica” butta la Questione Siciliana sul moralismo: la mafia, la corruzione, la cattiva voglia di lavorare dei Siciliani. A parte il fatto che molti di questi mali sono ben più attestati nel profondo nord, è tutto fumo negli occhi. La realtà è che se, applicando le norme finanziarie dello Statuto, la Sicilia introitasse tutti i tributi il cui presupposto matura in Sicilia (con le limitatissime eccezioni stabilite nello Statuto), facendosi per contro carico di tutte le spese pubbliche correnti da effettuare in Sicilia o per la Sicilia (anche qui con le limitate eccezioni di Difesa ed Esteri), oggi disporremo di circa 10 miliardi di euro in più l’anno da distribuire tra maggiori e migliori servizi pubblici, investimenti in infrastrutture (es. strade, queste sconosciute), diminuzione della pressione tributaria. E questo senza contare i 4/5 miliardi l’anno circa che, Statuto alla mano, toccano alla Sicilia come Fondo di Solidarietà Nazionale (art. 38) da dedicare esclusivamente a un piano di investimenti pubblici; denaro che, a costo zero per il resto d’Italia, l’Italia potrebbe dedurre dalle “poche” entrate erariali rimaste allo Stato, quali le accise petrolifere. Si tratta di cifre spaventosamente alte, che ogni anno vanno a finanziare la Penisola, il suo sviluppo, i suoi sprechi, i suoi salvataggi di banche e così via. Si tratta di somme che per la Sicilia rappresenterebbero la panacea di tutti i mali.

Nessun governo regionale o quasi ha mai fatto sul serio per difendere le ragioni della Sicilia di fronte allo Stato. Negli ultimi anni, infine, lo Stato, non contento di defraudare la Sicilia così tanto, ha accelerato la pressione: il gettito IVA e IRPEF, con mezzucci contabili è stato dirottato per più del 50 % dalla Regione allo Stato e – per carico aggiuntivo – su ciò che resta la Regione deve dare allo Stato ogni anno un “contributo al risanamento della finanza pubblica erariale” di circa 1,3 miliardi.

Risultato: la Sicilia, sia come Regione, sia come enti locali che da questa derivano, è da due anni in pieno default non dichiarato.

Per quanto abbia obbedito a tutti i diktat che vengono da Roma, tagliando tutto il tagliabile, le mancano sempre alcune centinaia di milioni per potere in qualche modo chiudere i conti su ciò che resta dell’amministrazione coloniale.

Negli ultimi anni lo Stato, che ha defraudato di miliardi la Regione, l’ha costretta a chiudere i conti con prestiti fatti in ultima analisi dal debitore moroso (anche per mezzo della CDP). La Sicilia paga, con gli interessi, quello che le spetta di diritto. Nell’estate del 2014 è stata costretta a rinunciare a tutto il gettito del contenzioso con lo Stato davanti alla Corte Costituzionale (non ci appassiona in tal senso a quanto ammonta e non inseguiamo l’assessore Baccei nei suoi trucchetti contabili per sminuirne la portata; già il principio ci sembra di una gravità assoluta per la solenne slealtà che si porta dietro).

Fine della premessa.

Ora i fatti. La Regione, messa in condizioni di estrema difficoltà in ultima analisi dallo Stato, per sopravvivere ha firmato un accordo COLONIALE con lo Stato il 20 giugno u.s. Un “accordo” sottoscritto da Renzi e Crocetta che è tale solo di nome. In realtà ha dettato tutto lo Stato. Crocetta, succube, si è limitato a firmarlo.

Questo accordo è stato ratificato, per la parte attinente all’IRPEF dalle due parti: l’ARS in Sicilia e il Parlamento in Italia. In entrambi i casi i deputati e senatori del PD e di Alleanza popolare (il partitino di Alfano, lo specifichiamo perché nessuno ne conosce la sigla). Tra le firme illustri ai provvedimenti legislativi, quelle di Faraone, Lumia, Simona Vicari, D’Alia e tanti altri “benemeriti” della Sicilia.

Cosa prevede questo accordo che sottomette di fatto la Sicilia all’Italia per i prossimi decenni?

Sintetizziamolo in breve nei punti seguenti.

La Sicilia si impegna a fare cure di cavallo di continui tagli, a partire già dal 2016, e fino al 2020, al ritmo del 3 % sull’anno precedente. Ogni anno circa 500 milioni l’anno di tagli su un bilancio esangue di 15 miliardi. Una follia che non si vede nemmeno in Grecia. Una follia che pagheranno certamente tutti i cittadini siciliani, non i deputati e senatori del PD che l’hanno sottoscritta.

La Sicilia rinuncia a tutta la propria autonomia legislativa. Anzi, peggio, si impegna, su tutta una serie di materie distintamente indicata, a fare finta di mantenerla, cioè si impegna ad usarla per accettare acriticamente tutta la legislazione statale. Cioè, per semplificare, la Costituzione dice che sul proprio diritto amministrativo interno la Regione è sovrana, e noi ci impegniamo ad usare questa sovranità per fare “tutto quello che dice lo Stato”. Non c’è nessun magistrato, costituzionale, contabile o penale che interviene? Aiuto!

La Regione autorizza, in caso di mancato di rispetto dei tagli della parte corrente, lo Stato a trattenere le relative somme su quelle dovute alla Regione a qualsiasi titolo e a “riprendersele”. Non importa se la Regione, per avventura, avesse queste risorse e fossero sue. Se si azzarda a spenderle diventano dello Stato, che se le va a spendere altrove in Italia.

L’Autonomia della Regione sul controllo degli enti locali è finita. Tutta la spesa dei Comuni siciliani sarà sottoposta alle norme e restrizioni arbitrarie che deciderà Roma. Anci-Sicilia, se ci sei batti un colpo!

In barba ai decreti attuativi dello Statuto (del 1965, ormai applicabili solo in materia analogica, perché nel frattempo è cambiato tutto nel diritto tributario) che attribuiscono alla Sicilia il 100 % dell’Irpef, visto che lo Stato italiano ne ruba ogni anno una buona quota, questo furto è “legalizzato”: nei prossimi 3 anni la Regione ne tratterrà (forse, si spera) una quota tra i 5 e i 7 decimi. Il resto va allo Stato, senza alcuna compensazione e tanti saluti.

Ma, così facendo, la norma sarebbe incostituzionale, perché viola i decreti attuativi. No-Problem: l’accordo vincola la Commissione Paritetica, preposta ad emanare tali decreti, di recepire l’accordo. Al contrario: non ci sono prima i decreti attuativi, e poi le leggi che rispettano i decreti attuativi; qui si fanno prima le leggi, e poi i decreti attuativi si devono adeguare. E lo Statuto che è superiore ancora ai decreti attuativi? Chi se  ne importa: qui la gerarchia delle fonti è al contrario. Si vede che lo Statuto, a sua volta, poi dovrà essere cambiato per adeguarsi a questo accordo.

La Regione rinuncia, DI NUOVO, al gettito di tutti i contenziosi di natura finanziaria con lo Stato presso la Corte Costituzionale, attraverso il ritiro degli stessi e la rinuncia al gettito di quelli non più ritirabili, ove per avventura dovesse risultare vincitrice.

Dobbiamo aggiungere altro?

La deputata ARS Foti chiede “come” fermare tutto ciò. 

Noi lo sappiamo.

Questo accordo è nullo, e chi vincesse le elezioni regionali domani lo deve ricusare e buttare nel cestino.

Ma la vera soluzione, di fronte ad uno stato tanto sleale, ormai non può che essere una sola: LIBERTA’ E INDIPENDENZA PER LO STATO DI SICILIA! 

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