Stupor Mundi1

Federicus Rogerius, puer Siciliæ

Stupor Mundi1

di Fabio Petrucci

Si è svolto ieri, nella bella cornice del Teatro di Verdura di Palermo, lo spettacolo “Stupor Mundi”, dedicato alle gesta di Federico II, Re di Sicilia e Imperatore dei Romani. L’evento, organizzato da Banca Mediolanum, ha visto la speciale partecipazione dell’attore Michele Placido, di suo figlio Brenno e della cantante Alejandra Bertolino Garcia. Intermezzati dai canti di quest’ultima, Michele Placido ed il figlio Brenno – interprete di Federico – si sono cimentati con maestria in un immaginario dialogo con il grande sovrano medievale, ripercorrendone la vita e il mito.

Tuttavia, malgrado l’altissimo livello artistico dell’evento, non sono mancate alcune imprecisioni storiche frutto di luoghi comuni duri a morire. Vogliamo brevemente trattare tali imprecisioni come stimolo di riflessione e invito ad affrontare con sempre maggior cura un tema fondamentale per l’identità di un popolo qual è, per l’appunto, la storia.

 Federico II: un re tedesco o siciliano?

Lo spettacolo ha avuto il merito di esaltare il grande legame esistente tra Federico II e la Sicilia. In alcuni momenti, tuttavia, si è avuta l’impressione di un legame immaginato come quello tra un più o meno benevolo dominatore straniero e un popolo dominato; di un Federico amante della Sicilia e dei suoi abitanti, ma pur sempre in rapporto dicotomico con essi: da re tedesco.

Anche il sindaco Orlando, intervenendo prima dell’inizio dello spettacolo, ha ricordato il nonno tedesco di Federico II, il Barbarossa, dimenticando di citare il nonno siculo-normanno Ruggero II. A noi invece preme sottolineare l’identità siciliana di Federico II, ben più pregnante di un’ascendenza tedesca più nominale che altro. Un’identità siciliana – quella di Federico II – che in passato è stata offuscata da interpretazioni, come quella del filosofo Friedrich Nietzsche, tese ad annoverare il sovrano cresciuto a Palermo nel Pantheon dei grandi protagonisti del “genio germanico”. Federico II, in realtà, come evidenziato di recente anche da Alessandro Barbero in una sua conferenza, era un re siciliano. Ed è a questa sua identità siciliana, frutto dell’influenza materna e degli anni dell’infanzia e dell’adolescenza trascorsi nella capitale del Regno di Sicilia, che si deve la specificità storica di Federico II nell’ambito del medioevo europeo. Un’identità siciliana che non si limitò ad influenzare la personalità e i gusti dell’Imperatore, ma che al contrario ne plasmò anche l’agire politico, come ben sottolineato dallo storico William Harvey Maehl, secondo cui «alla fine della sua vita Federico II rimaneva sopra ogni cosa un sovrano siciliano, e la sua intera politica imperiale era finalizzata ad espandere il Regno Siciliano in Italia piuttosto che il Regno Germanico verso Sud».

Ci sembra peraltro che poca attenzione sia stata rivolta agli antenati siciliani di Federico II, quei discendenti del conte normanno Ruggero I d’Altavilla che plasmarono il mondo in cui crebbe il giovane Federico, influenzando profondamente le sue concezioni culturali, artistiche e giuridiche. Insomma, quella del re “tedesco” ci sembra l’ennesima riproposizione – seppur non di certo la peggiore – di un cliché che ha condotto i siciliani a percepire la propria la storia come quella di un popolo perennemente succube di dominazioni straniere.

La Scuola Poetica di Federico II: italiana o siciliana?

Un altro luogo comune sfiorato durante lo spettacolo ha riguardato il ruolo della Scuola Poetica Siciliana nello sviluppo della lingua italiana. Michele Placido, animato dal desiderio di esaltare l’influenza della Sicilia sulla cultura italica, ha posto a Palermo – come spesso accade – il luogo di nascita della lingua italiana. Tuttavia, sebbene tale riconoscimento possa costituire una fonte di orgoglio, abbiamo il dovere di precisare che il volgare di detta Scuola era il siciliano aulico, non l’italiano. Un siciliano aulico che funse da determinante fonte di ispirazione per i poeti toscani, influenzando profondamente la nascente letteratura dell’Italia centro-settentrionale, ma che assolse tale funzione da lingua autonoma dall’italiano stesso.

Anche il celebre sonetto attribuito a Federico II “Misura, providenzia e meritanza” – letto da Michele Placido durante lo spettacolo – fu scritto in siciliano aulico, sebbene sia giunto a noi in traduzione “toscana” come la stragrande maggioranza delle opere della Scuola Poetica Siciliana. Attribuire alla Sicilia la maternità della lingua italiana può anche inorgoglire e lusingare, ma noi preferiremmo che la Scuola Poetica di Federico II venisse posta alla base dello studio di una letteratura assente dai programmi scolastici e ancora oscura ai più: quella siciliana.

Federico II: sovrano laico e multiculturale?

Al termine dello spettacolo Michele Placido e Oscar di Montigny, direttore Marketing Comunicazione e Innovazione di Banca Mediolanum, hanno brevemente dialogato sulla figura di Federico II e sul suo rapporto con il mondo contemporaneo. Come spesso accade in questi casi si è materializzata la tentazione di interpretare la storia alla luce delle categorie sociologiche e ideologiche della contemporaneità. L’impressione è che si siano troppo idealizzate la “multiculturalità” e la “laicità” di Federico II, associandole in maniera semplicistica alle tematiche dell’accoglienza dei migranti e del rapporto tra le confessioni religiose.

Facendo ciò si è forse dimenticato che Federico II, uomo capace di accogliere alla propria corte personaggi delle più disparate culture, fu al contempo il fautore dell’espulsione dell’islam dalla Sicilia nonché il promotore di una concezione dello Stato e del ruolo del monarca che, lungi dal poter essere associata al “laicismo” moderno e contemporaneo (come vorrebbe una certa tradizione esoterico-illuministica), attingeva a piene mani alle teorie del cesaropapismo bizantino, che in Sicilia aveva una lunga storia risalente al nonno Ruggero, fondatore del Regno.

Al di là delle imprecisioni, però, vogliamo guardare il bicchiere mezzo pieno e, rinnovando i complimenti alla grandezza artistica di Michele Placido, originario della provincia di Foggia e innamorato della Sicilia (in tal senso un vero “federiciano”!), sottolineiamo la vasta partecipazione dei palermitani a questo evento, segno di una domanda di identità che cresce a vista d’occhio nella società siciliana.

 

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