La sanità che in Sicilia non c’è!

È di un paio di giorni fa la denuncia del sindaco del comune di Castell’Umberto, Vincenzo Lionetto Civa, che evidenzia le carenze strutturali della sanità siciliana. Ormai impegnata in emergenze ed incapace ad affrontare l’ordinario.

L’occasione che ha indotto il sindaco di Castell’Umberto a esprimersi è la morte di un medico conosciuto e impegnato da anni professionalmente nel territorio. Il medico, Giovanni Abbadessa, ha avuto un malore durante una visita domiciliare, ma l’ambulanza più vicina era a 27 minuti da Tortorici ed era di quelle sprovviste di medico a bordo. Sia la tempistica che la mancanza di assistenza medica adeguata a bordo dell’ambulanza potrebbero essere state determinanti per la vita del medico. Dal 118 si difendono sottolineando che gli standard in funzione del numero di abitanti rispettano le normative regionali.

Il profilo della spesa sanitaria è costante fino al 2007 intorno a 2,8 miliardi; cresce fino al 2010, anno in cui tocca i 3,4 miliardi, per poi diminuire del 60% per arrivare al valore minimo di 1,4 miliardi nel 2017. Gli anni della pandemia hanno visto spese emergenziali che poco di strutturale hanno prodotto. La sanità durante la pandemia invece di potenziare ospedali e gratificare il personale esistente ha provveduto a investire in personale precario prossimo ad essere impiegato come elemento di giochi politici di tipo elettorale/clientelare.

Sicuramente un fattore che contribuisce al dato medio in Sicilia è la migrazione giovanile per motivi di studio e di prospettive lavorative, che lascia nel territorio siciliano un tessuto sociale “anziano”. Alla migrazione si devono poi aggiungere le carenze infrastrutturali e negli investimenti nei servizi sociali e sanitari che mediamente sono più bassi rispetto ad altre realtà italiane ed europee. La spesa per investimenti in sanità in questi 18 anni è stata molto squilibrata territorialmente. Dei 47 miliardi totali in investimenti sanitari, oltre 27,4 risultano spesi nelle regioni del Nord, 11,5 in quelle del Centro e 10,5 nel Mezzogiorno; considerando che in quest’ultima area, che nella media del periodo pesa per il 35% della popolazione italiana, gli investimenti sono stati pari al 17,9% del totale. In termini pro-capite, a fronte di una spesa nazionale media annua di 44,4 euro, quella nel Nord-Est è pari a 76,7 (cioè di ben tre quarti più alta), mentre quella nelle Isole è pari a 36,3 euro e nel Sud Continentale a 24,7: poco più della metà della media nazionale. Al Centro e al Nord-Ovest si è stati molto vicini alla media. (Fonte Conti Pubblici Territoriali).

La Sicilia ha carenze strutturali, infrastrutturali e di risorse umane in ambito sanitario per carenze finanziare che hanno precisi responsabili politici.

Al momento, la realtà fotografata dalla Corte dei Conti è che alla Regione Siciliana sono state devolute quasi tutte le funzioni che altrove sono statali ma lo Stato ha trattenuto per sé gran parte del gettito fiscale che dovrebbe coprirle. Riguardo la spesa sanitaria, poi, sempre la Corte dei conti ha usato l’aggettivo “sleale” per definire il comportamento dello Stato che ha trattenuto illegittimamente le accise petrolifere che, stando ad accordi sottoscritti e ratificati con legge dello Stato ai tempi del governo Prodi, avrebbero dovuto coprire la maggiore spesa regionale a fronte di un minore esborso statale.

Il problema ha origine quando fu creata la Regione Siciliana ma i governi italiani, abilmente, riuscirono a impedire la creazione di un’agenzia delle entrate regionale mantenendo la funzione in capo a quella statale. Da quel momento ogni autonomia finanziaria è stata compromessa dalla facilità con cui il ministero delle finanze può riscuotere nell’isola le imposte spettanti alla Regione e poi girarne a questa un ammontare decurtato di parecchio. Sottrazioni che si sono fatte sempre più pesanti man mano che la finanza statale italiana è etrata in affanno. Ormai, anche a causa degli accordi capestro che Renzi ha estorto a Crocetta, ritornano nell’isola appena la metà delle imposte dei Siciliani. Imposte con cui non è più possibile garantire tutta la funzione pubblica che lo Stato ha devoluto alla Regione. A questo scenario bisogna aggiungere gli altri prelievi rapaci come quello per il risanamento della finanza statale.

È incomprensibile il criterio secondo il quale il contributo al risanamento del debito italiano, nell’isola sia il più alto dopo quello lombardo.

È incomprensibile la cancellazione dei residui attivi, concedendo di fatto allo Stato di cancellare i suoi debiti portando la Regione al disavanzo.

Stiamo però parlando solo delle imposte riscosse nell’isola perché c’è poi la questione della violazione dell’articolo 37, mai attuato, che attribuisce alla Regione le imposte maturate. Uno scippo quantificato intorno ai 300-400 milioni l’anno, considerando gli stabilimenti petrolchimici operanti nell’isola ma con sede legale nel nord Italia.

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