LO STATO SCOPRE DI AVERE UN DEBITO di 7 MILIARDI VERSO LA SICILIA, CHE STA SUCCEDENDO?

Incredibile! Il MEF ha ammesso di aver derubato 7 miliardi alla Sicilia che, se restituiti, azzererebbero di colpo tutto il disavanzo della Regione.

Non chiediamoci come sia successo. Non lo sappiamo. Forse a Roma si sono resi conto che sia la Regione, sia i Comuni siciliani non riescono a chiudere più i bilanci. O, forse, più semplicemente, la cosa è tanto enorme che non poteva più essere nascosta.

Da dove saltano fuori questi 7 miliardi? Come lo spieghiamo al cittadino incredulo? Li hanno trovati sotto il tappeto?

No, la storia è più semplice. Nel 2007 lo Stato (cialtrone) chiese alla Regione di farsi carico di una quota aggiuntiva di spesa sanitaria nell’isola, promettendo in cambio una compartecipazione alle accise petrolifere, del valore di alcune centinaia di milioni di euro l’anno.

Cosa è successo in pratica? È successo che la Regione ha aumentato tale compartecipazione e lo Stato, in tutta risposta, ha fatto il classico “segno dell’ombrello”.

Ora si dovrebbe chiudere quella partita, da cui la Sicilia ha subito il danno fantasmagorico di circa 7 miliardi.

Sempre a grandi linee questo credito corrisponde, alla grossa, al disavanzo contabile che condanna la Sicilia a chiudere in avanzo i propri bilanci per molti decenni. Altra storia questa, altra vergogna. Fermandoci alla partita più importante da cui è nato questo disavanzo, e per non farla troppo lunga, nell’estate del 2015, con la “scusa” della riforma delle contabilità pubbliche, il Governo Crocetta cancella di colpo circa 6 miliardi di crediti verso lo Stato, senza dare alcuna motivazione, come puro “cadeau” dalla Sicilia all’Italia. Da quella assurda cancellazione nasce uno spaventoso disavanzo, che lo Stato concede di coprire in alcuni decenni, cui se ne aggiungono altri minori dopo, sui quali taciamo per carità di patria. In pratica, con un colpo di bacchetta magica il governo coloniale della Regione non solo azzerò il credito nei confronti dello Stato, ma lo trasformò addirittura in debito, pagando lo Stato per i soldi che lo Stato ha derubato nel tempo alla Sicilia.

Ora, con questi 7 miliardi, si potrebbe arrivare ad una compensazione. Lo Stato, senza pagare una lira, potrebbe “abbonare” alla Sicilia il suo impagabile disavanzo. In qualche modo Regione e Comuni siciliani potrebbero ricominciare a redigere documenti finanziari malandati ma degni di questo nome, mentre lo Stato non dovrebbe, “ancora una volta”, sacrificarsi neanche per un centesimo. Forse è per questo che lo stanno riconoscendo.

Ma non si dovrebbe chiudere così! Quella partita di disavanzo è puramente contabile, e non dovrebbe essere pagata comunque, anche a voler rinunciare al nostro credito pregresso. Con i 7 miliardi che spettano alla Sicilia si potrebbe finanziare uno straordinario piano di investimenti infrastrutturali di cui abbiamo bisogno come il pane. Invece tutto è fatto per fare incrementare, anziché il divario tra paese colonizzatore (Italia) e paese colonizzato (Sicilia).

Ma poi parliamo di questi 7 miliardi, che sarebbero solo una partita una tantum…

Ci sono poi quelli “una semper”. Cioè i furti di entrate che continuano ogni anno. E lì i 7 miliardi, anche al netto di quello che lo Stato ancora sostiene al posto nostro, sarebbero ogni anno!! Tra IRPEF, IRES e IVA regalate allo Stato e mancate perequazioni si perde letteralmente il conto della rapina annuale ai danni della Sicilia.

Qual è l’insegnamento che traiamo da questa storia?

Da un lato che solo una radicale SICILEXIT (dall’Italia) potrebbe definitivamente salvarci da questa schiavitù.

Dall’altro, che pur nelle soluzioni minimali oggi possibili, se ci fosse una rappresentanza decisa e competente, capace di tenere testa ai burocrati del MEF e agli azzeccagarbugli della Consulta, la Sicilia potrebbe ritagliarsi spazi finanziari importanti, con i quali potrebbe dare sollievo a gran parte della sua economia.

Ma questo significa una radicale sostituzione della classe politica subalterna ed ascara. Un’altra storia.

SICILIANI LIBERI insiste su questa linea.

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