UN EROE SICILIANO, LA MAFIA E LO STATO

Ricorre oggi il trentennale della strage di Capaci nella quale persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo (anch’essa magistrato) e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Quell’evento – a cui due mesi dopo fece seguito la strage di Via D’Amelio in cui perse la vita Paolo Borsellino – ha rappresentato un grande spartiacque nella storia recente della Sicilia.

Noi oggi vogliamo ricordare il coraggioso eroismo di Giovanni Falcone, Eroe Siciliano e simbolo esemplare della sete di giustizia che alberga nei cuori della stragrande maggioranza dei Siciliani. È nostro dovere non solo custodire la memoria di personaggi come Falcone, ma soprattutto seguirne l’esempio di dedizione alla società ed ai valori fondamentali che dovrebbero ispirarne la vita.

Al tempo stesso, in occasione di questa ricorrenza – e di altre affini – non possiamo non evidenziare l’oscena ambiguità che ha contraddistinto i rapporti tra lo Stato italiano e la #mafia sin dagli albori dell’unità d’Italia.

Già nel lontano 1900 Napoleone Colajanni scriveva: «per combattere e distruggere il Regno della mafia è necessario e indispensabile che il governo italiano cessi di essere il re della mafia».

Molti decenni dopo Francesco Cattanei, Presidente della Commissione Antimafia dal 1968 al 1972, disse che «la mafia è un potere nell’ambito del potere dello Stato».

Il giudice Rocco Chinnici, collega di Falcone e vittima anch’egli della mano assassina di Cosa Nostra, affermò che «come associazione e con tale denominazione, prima dell’unificazione non era mai esistita, in Sicilia. La mafia nasce e si sviluppa subito dopo l’unificazione del Regno d’Italia».

Lo stesso Paolo Borsellino, amico e collega di Falcone, prima della sua morte ebbe a dire «forse saranno mafiose le mani che mi uccideranno, ma a volerlo saranno altri». Il giudice Roberto Scarpinato, ricordando Borsellino, in anni recenti ha detto che «lo Stato in Sicilia è contro lo Stato».

Leonardo Sciascia, in maniera piuttosto lapidaria, arrivò a sostenere che «se lo Stato volesse sconfiggere la mafia dovrebbe suicidarsi».

Quale fiducia, pertanto, possono avere i Siciliani in uno Stato i cui rapporti con il crimine organizzato risultano tutt’altro che scevri da durature, pericolose ed inconfessabili complicità?

Vuoi vedere che senza l’Italia, la Sicilia vedrebbe sciolto il sodalizio mafioso?

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